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Tutti Ostaggi Un video di pochi minuti racconta volti e stati d'animo presenti nel corteo per la liberazione di Giuliana e per una pace vera in Iraq.
autore Multiplo [editing: candidatv - spegnilatv - cheat_one]
email redazione@ilmanifesto.it citta' roma data 22/02/2005
nome del file ngv_rm_it_20050219_f19xg.mp4
durata 00:05:58 (hh:mm:ss) cd 67 grandezza 42.36 Mb lingua it mime type avi mp4 (mp4) Un breve video per una lunga manifestazione
Tutti Ostaggi Un video di pochi minuti racconta volti e stati d'animo presenti nel corteo per la liberazione di Giuliana e per una pace vera in Iraq. E'già stato messo in rete nel sito del «manifesto» ed è la prova di quanto si mortifichi la libertà di tutti se a «una di noi» è tolta la sua libertà GUGLIELMO RAGOZZINO «Finché non c'è la pace mi sentirò ostaggio». E' una donna che parla, con voce ferma. Nel corso della manifestazione per Giuliana e per la pace che ha attraversato Roma il 19 febbraio, molti si domandavano le ragioni di quello sfilare insieme. E' noto alle persone presenti e a chi era presente da lontano, con la mente e con il cuore, che il corteo era silenzioso; gli slogan erano pochi, e pochi i cartelli, per lo più spontanei. Uno, piccolo, diffuso in una parte del corteo, ripeteva: «ostaggi della guerra». Ecco; la ragione di sfilare insieme, di stare insieme, era quella di dire al mondo: sono un ostaggio anch'io. Quando Belgrado era sotto i bombardamenti della Nato, qualcuno sfilava con una maglietta che rappresentava un bersaglio: sono un bersaglio anch'io; sto dalla parte di chi è bersagliato. Qui invece: sto con gli ostaggi, sono insieme a Giuliana e agli altri; vorrei essere con lei. Un gruppo di cineasti, come amano chiamarsi, ha chiesto al corteo: in che senso ostaggi? E poi ha registrato e filmato le risposte. In tutta fretta, nella sera e nella notte del dopo corteo, essi hanno montato un breve video di sei minuti, servendosi anche di spezzoni girati da altri e ne è risultato un materiale che è politico e umano insieme. Il gruppo, aperto, sfrangiato, non ha saputo o non ha voluto darsi un nome. Se è forzato pretendere che il video sia la risposta dell'Italia intera o di tutta la manifestazione, di fronte ai rapimenti di giornalisti liberi e alla guerra, alle stragi di Falluja e al terrorismo; è però la prova che nel corteo, per silenzioso che fosse, circolavano molte idee, che potrebbero ispirare saggi pensieri, grandi alleanze popolari contro la guerra e per la liberazione di tutti gli ostaggi. Parla una giovane donna, prima timidamente, poi sempre più franca. «Mi sento ostaggio dell'ignoranza del mio paese, della mancanza di etica del mio paese, dello scarso coraggio dei partiti, della mancanza di decenza del mio governo. Mi sento ostaggio della mancanza di attivismo della giovane generazione». «Sono ostaggio, siamo ostaggi, dice un'altra, sconsolata, non si può fare nulla». Le replica un'altra ancora, in questa specie di dibattito ideale a molte voci: non è vero, c'è qualcosa da fare «Non è strana la mancanza di uno sciopero generale e generalizzato?». Intende dire che si fermi tutto il paese, in uno sciopero che raggiunga oltre al mondo del lavoro anche il resto della popolazione, gli studenti, il mondo del non-salario? Un'altra donna, con un megafono, scandisce, scolpita nel nostro video: «La strage di Falluja non la dimentichiamo / Giuliana Sgrena noi la rivogliamo». Poi parla un uomo, il primo presente nel video: «credo che il vero ostaggio sia il popolo iracheno... la parte debole sono loro... noi siamo ricchi». Una delle immagini più forti è quella di un'immigrata: noi siamo ostaggi anche qui : io non ho, noi non abbiamo diritto al voto». Insomma si svolge nel corteo una vera e propria presa di coscienza politica; ogni persona discute con i vicini, matura un'opinione di pace, di libertà per tutti, a partire dalla libertà di Giuliana e degli altri ostaggi. Anzi delle altre «ostagge» come spiega un giovane padre che parla un perfetto italiano, più ricco del nostro, e rivendica una vita felice e libera «per le sue bambine». A chi scrive vengono in mente tutte le bambine, figlie e nipoti del manifesto che ha visto sfilare nel corteo, un po' saltellanti, un po' in carrozzina: Agnese, Matilde, Bianca, Olga, Ottavia, Lea..... Parla un palestinese: noi siamo i veri ostaggi. Ostaggi di una guerra che dura sempre. Nasciamo, viviamo, moriamo in guerra». «Io mi sento un mattone dietro al collo. Questo è essere ostaggio». A dirlo è una ragazza con i capelli veramente rossi. «Giuliana sei tutti noi»: è un'iscrizione a mano, fatta con un pennarello. Lo porta una signora, seduta di fianco ai sui averi, due fagotti. La sua frase è bellissima: «sono ostaggio della malafede». «Siamo tutti ostaggi nella stessa barca, chiarisce un'altra signora, venuta da lontano, con una splendida sciarpa rosa legata al collo. La pace va bene per tutti». C'è poi un discorso articolato di un giovane uomo che ritiene di essere ostaggio della comunicazione, dell'economia, della guerra. Poi presenta il suo biglietto da visita, o forse il suo curriculum come gli hanno insegnato: «Rocco, Torino, studente, ostaggio». «Siamo ostaggi dei liberatori della guerra permanente» dicono altre voci; altre incalzano: «Giuliana indica la parte migliore del paese»... è «costruttrice di ponti e di reti» e per dirla in una parola: ci fa vergognare un po' meno di quello che siamo. Il video finisce ecco una foto di Giuliana, la mamma con il velo nero al letto della sua creatura colpita dalle cluster bomb all'ospedale di Falluja. E poi compare la scritta chiara e forte: «Liberiamo la pace». Liberiamo Giuliana e gli altri ostaggi.
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